E' un servizio pubblico?

Una volta esecitare il servizio di conduttore di veicoli di piazza equivaleva all'esercizio di un mestiere ambulante (DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 24 LUGLIO 1977, n. 616 ).

Ma ora, cosa significa la scritta Taxi?

In una recente sentenza del TAR di Firenze si puo' leggere la seguente dichiarazione: “nonostante l’evidente impropria qualificazione di servizio pubblico dovuta al linguaggio corrente”.

Nel testo la sentenza definisce il servizio di piazza "servizio di pubblica utilità" con tutti gli annessi e connessi.

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 24 LUGLIO 1977, n. 616

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 24 LUGLIO 1977, n. 616 (GU n. 234 Suppl.Ord. del 29/08/1977)
ATTUAZIONE DELLA DELEGA DI CUI ALL'ART.1 DELLA LEGGE 22 LUGLIO 1975,N.382.

(...)

CAPO II POLIZIA LOCALE URBANA E RURALE

(...)

ART.19. POLIZIA AMMINISTRATIVA

14) LA REGISTRAZIONE PER MESTIERI AMBULANTI (VENDITORI DI MERCI, DI GENERI ALIMENTARI E BEVANDE,DI SCRITTI E DISEGNI,MERCIAIOLO, SALTIMBANCO,CANTANTE,SUONATORE,SERVITORE DI PIAZZA,FACCHINO, COCCHIERE,CONDUTTORE DI VEICOLI DI PIAZZA,BARCAIOLO,LUSTRASCARPE E MESTIERI ANALOGHI) DI CUI ALL'ART.121;

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Testo estratto da

http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1977/lexs_73696.html

Sentenza del TAR Firenze

N. 00964/2011 REG.PROV.COLL.

N. 01695/2007 REG.RIC.

N. 01696/2007 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda)

(...)

...la migliore dottrina espressasi recentemente sulla nozione di servizio pubblico, desunta dal vigente diritto positivo, ha ribadito la validità della concezione soggettiva, precisando che essa trova il suo nucleo essenziale nella decisione della P.A. di procedere all’assunzione di un’attività come servizio pubblico, così conseguendone la titolarità (da non confondere con l’esercizio, che può benissimo essere affidato a privati, senza con ciò perdere l’intrinseco legame con la struttura organizzativa della collettività). Nell’ottica del diritto amministrativo, pertanto, servizio pubblico in senso stretto si può avere solo in rapporto a compiti che il soggetto pubblico consideri come propri nell’ambito delle sue competenze istituzionali: a siffatti compiti sono chiamati a partecipare anche persone fisiche o giuridiche private (tramite un provvedimento tradizionalmente ritenuto di natura concessoria), giacché il loro svolgimento non implica di norma esercizio di poteri autoritativi, ma l’attività rimane comunque riferita all’organizzazione pubblica globalmente intesa. In questo senso depongono anche l’art. 22 della l. n. 142/1990 e l’art. 112 del d.lgs. n. 267/2000, i quali confermano che un’attività di produzione di beni e/o di erogazione di servizi, diretta a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile della collettività, diventa servizio pubblico solo con la decisione dell’Ente locale di assumerla. Né in senso contrario depone l’art. 113 del d.lgs. n. 267 cit., il quale prevede, a ben guardare, il conferimento, da parte dell’Ente locale alle diverse categorie di soggetti legittimati all’erogazione del servizio, non già della titolarità del servizio stesso, ma della (titolarità della) sua gestione: ed infatti, resta ferma in capo all’Ente pubblico, che ha assunto come servizio pubblico un’attività di produzione di beni/servizi a fini sociali, la responsabilità che detta attività sia assicurata agli utenti.

Anche la giurisprudenza espressasi in argomento, sebbene anteriormente alla l. n. 21/1992, al fine di individuare la nozione di servizio pubblico nel settore in esame ha fatto ricorso ad elementi del tutto coerenti con le affermazioni dottrinali ora riportate. In particolare, tale giurisprudenza è partita dalla distinzione tra uso privato ed uso pubblico del mezzo stabilita dall’art. 57 del vecchio Codice della strada (d.P.R. n. 393/1959), per evidenziare come detta distinzione non sia per nulla sovrapponibile a quella tra servizio privato e servizio pubblico. Ciò giacché, ove si fosse ritenuto che la distinzione tra uso privato ed uso pubblico del mezzo coincidesse o fosse sovrapponibile con quella tra servizio privato e servizio pubblico, si sarebbe dovuta affermare la natura di servizio pubblico del trasporto di persone o di cose in servizio da piazza: ma una simile conclusione – osserva la giurisprudenza in questione – sarebbe erronea, in quanto servizio pubblico è il servizio originariamente riservato alla pubblica autorità, laddove, invece, il servizio da piazza è un servizio che, sebbene assoggettabile a regolamentazione perché interessante la collettività (ed in questo senso di interesse pubblico), ben può essere affidato a privati, atteso che la relativa attività rientra nella sfera della generale capacità dei soggetti di diritto (C.d.S., Sez. VI, 29 novembre 1988, n. 1291). Con particolare riferimento al servizio di auto pubbliche da piazza (su cui v. art. 57, primo comma, n. 2, lett. a), del d.P.R. n. 393 cit.), una peraltro risalente giurisprudenza ha affermato che esso, “nonostante l’evidente impropria qualificazione di servizio pubblico dovuta al linguaggio corrente”, costituisce attività già compresa nella naturale capacità e libertà dei privati, anche se assoggettabile a disciplina da parte della P.A., consistente nel rilascio di apposite licenze (C.d.S., Sez. V, 11 marzo 1966, n. 430).

Così individuata la nozione di servizio pubblico, ad essa non sembra riconducibile il servizio di taxi oggetto della controversia in esame: ed invero, nel caso di specie ci si trova dinanzi ad un’attività di trasporto individuale di persone, imperniata sul rapporto negoziale che si instaura con il cliente, di stampo prettamente privatistico, ancorché assoggettata ad un regime fortemente regolamentato. In contrario, non vale la circostanza dell’attivazione di una procedura concorsuale per l’assegnazione delle licenze, trattandosi del sintomo di un contingentamento dell’attività, non incompatibile, di per sé, con la natura prettamente privatistica dell’attività stessa. Vero è che l’art. 1, comma 2, lett. a), della l. n. 21/1992 include il servizio di taxi con autovettura tra gli autoservizi pubblici non di linea: nondimeno, lo strumento attraverso cui, anche nella fattispecie in esame, si perviene all’affidamento del servizio de quo è quello dell’autorizzazione o licenza (v., da ultimo, l’art. 6 del d.l. n. 223/2006, conv. con l. n. 248/2006) e non quello della concessione, come, invece, dovrebbe essere – secondo quanto si è ricordato poc’anzi – se ci si trovasse davanti ad un pubblico servizio (il cui affidamento a privati avviene mediante lo strumento concessorio). Né tale questione è meramente nominalistica, giacché, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento proprio al servizio di taxi, il fatto che non si verta in materia di attività in regime di concessione porta a concludere che si tratta non dell’esercizio di un pubblico servizio, ma di un’attività di pubblico interesse (Cass. pen., Sez. III, 17 novembre 1998, n. 12722). Il quadro, d’altronde, è del tutto coerente con la tradizionale distinzione tra concessione, quale provvedimento afferente ad un’attività riservata ai pubblici poteri, con cui la P.A. attribuisce al destinatario diritti di cui è titolare o che sorgono con la concessione, e, quindi, quale provvedimento costitutivo di un diritto che non preesiste, ed autorizzazione o licenza, intesa come provvedimento che afferisce ad un’attività libera e che rimuove un limite all’esercizio di un diritto preesistente (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. III, 14 ottobre 2008, n. 2849; sul punto è assai indicativa la già citata decisione del C.d.S., Sez. V, n. 430/1966). Ad una diversa conclusione non conduce neppure la giurisprudenza elencata dall’Amministrazione intimata e dai controinteressati, che contiene, invero, solo affermazioni incidentali (alla stregua di obiter dicta) e nella quale non si rinviene una disamina approfondita della questione: per di più, anche la giurisprudenza successiva alla l. n. 21/1992 ha insistito nel configurare il servizio taxi come servizio di pubblica utilità (T.A.R. Liguria, Sez. II, 14 aprile 1993, n. 115). In presenza di un simile quadro, va preferita l’opzione per una lettura restrittiva dell’art. 23-bis, comma 1, lett. c), della l. n. 1034/1971 (ora art. 119, comma 1, lett. a), del codice del processo amministrativo), tale, pertanto, da non comprendervi il servizio taxi: opzione resa necessaria, peraltro, dalla natura eccezionale e derogatoria della disciplina ex art. 23-bis cit. (cfr. C.d.S., Sez. VI, 5 giugno 2007, n. 2994).

Testo estratto da

http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Firenze/Sezione%202/2007/200701695/Provvedimenti/201100964_01.XML